Kushiel's Legacy ~ Jaqueline Carey's Saga First Italian Forum {Since 27-12-07}

che ne pensate della traduzione?

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zuddas
view post Posted on 7/12/2009, 16:27 by: zuddas






Su una pagina di questo blog ho trovato i primi 2 capitoli di "Kushiel's Justice" in lingua inglese. Visto che l'anno prossimo probabilmente dovrò tradurre anche questo romanzo della trilogia di Imriel, ho tradotto intanto l'inizio del secondo capitolo. E poichè qui si parla di traduzioni, ve lo mando.
Se volete dire la vostra, è meglio farlo "prima" che vada in stampa. Chi ne ha voglia, può cercare qui sul forum la pagina di questo secondo capitolo in lingua inglese, e confrontarlo con la mia traduzione. Il primo capitolo, essendo l'inizio del romanzo, è anche il più delicato; casomai, a quello penseremo in seguito.
E' solo una bozza, così vi prego di proporre in calce al testo le vostre correzioni per tutto ciò che non vi piace. Io ne prenderò nota per migliorare il testo definitivo.
Vi lascio alle vostre correzioni, proposte e critiche. Se avete voglia di farle. Mi saranno utili.


Titolo: KUSHIEL'S JUSTICE
Autrice: Jacqueline Carey
Traduzione dall'inglese di Gianluigi Zuddas
++++++++++++++++++++++++++++++++

Capitolo 2


«Ancora!»
Nel crepuscolo i denti di Joscelin biancheggiarono quando si mise in guardia di fronte a me, con la spada di legno protesa obliquamente. Io risposi con un sogghigno e balzai di nuovo all'attacco.
Le nostre lame si scontrarono in un clangore di colpi mentre ci giravamo attorno nel cortile, ciascuno saggiando le difese dell'altro. Sulle pietre della pavimentazione si stava formando una patina di rugiada che mi costringeva a badare dove mettevo i piedi. Con la coda dell'occhio guardavo quelli di Joscelin. A conferma delle scadenti poesie che Hugues scriveva su di lui, sembrava davvero scivolare. I suoi passi erano complicati e impeccabili.
Era bravo, migliore di me. Probabilmente lo sarebbe stato sempre. A dieci anni - l'età in cui io imparavo a chiedere pietà nella zenana del mahrkagir - Joscelin era entrato nella Confraternita Cassiliana e aveva cominciato a addestrarsi come monaco-guerriero. S'era allenato senza pausa, un giorno dopo l'altro.
Non era solo una questione d'allenamento. C'erano altri forti spadaccini tra i Confratelli Cassiliani. Ma nessuno di loro aveva mai dovuto prendere decisioni come le sue. Nessuno era mai stato messo alla prova come lui.
Gli feci pressione sul suo lato debole, il sinistro, dov'era più lento. Il braccio sinistro gli era stato fratturato a Daršanga. Consapevole di questo lui cedette terreno, scivolando indietro passo per passo mentre io continuavo ad attaccarlo. Poi, non so come, evitò il mio affondo con una leggera torsione del corpo e io mi trovai sbilanciato in avanti. Il suo gomito ossuto s'abbassò con durezza sul dorso della mia mano protesa.
«Oh, all'inferno!» La spada mi cadde dalle dita intorpidite. Le scossi per ritrovare la sensibilità.
Joscelin ridacchiò.
«Mi fai vedere?» chiesi.
«Guarda.» Deposta la spada a terra, lui mi mise una mano sul petto e l'altra sulla schiena, più in basso, facendo pressione. «Appoggia il tuo peso sul piede che si trova più indietro, e piega il ginocchio. Vedi?»
Feci come aveva detto. «Mi sento sbilanciato.»
«Allarga i tuoi punti d'appoggio.» Joscelin diede un calcetto al mio piede più avanzato. «Meglio.» Poi mi premette l'addome. «Tutto parte da qui, Imri. Non devi essere così rigido. Ti sei tenuto in allenamento?»
«No», ammisi. «Gallus Tadius non approvava lo stile cassiliano. Ci faceva allenare con...»
Lui non mi ascoltava più. Ciò che aveva visto in fondo al cortile, dietro di me, lo stava facendo sorridere. E poiché una sola persona al mondo poteva illuminare così il volto di Joscelin Verreuil, non avevo bisogno di guardare per sapere che si trattava di Phèdre.
Guardai lo stesso. Lei era là, sulla porta che si apriva sul cortile, le braccia strette al petto per difendersi dal freddo mentre osservava il nostro allenamento. Nei suoi occhi c'era tanto amore e tanta felicità che dovetti distogliere lo sguardo. Ciò che avrei voluto per me, non era per me.
«Mi fai vedere?» ripeté, per punzecchiarlo.
Lui rise piano, dolcemente. Attraversò lo spiazzo lastricato e appoggiò le mani su di lei come aveva fatto con me, solo non proprio così. Non allo stesso modo. Lei gli mise le braccia al collo e le maniche di velluto della sua veste scivolarono indietro lasciandole nude, candide e snelle. Mentre lui piegava la testa per baciarla, i suoi capelli biondo-grano ricaddero avanti. In quei brevi momenti tutto il resto del mondo cessò di esistere per loro.
Mi chinai a raccogliere le nostre spade. Quella vista non avrebbe dovuto farmi male. Quand'ero più giovane, quando ero un bambino, non mi faceva male. Io li amavo. Li amavo molto, entrambi. Loro mi avevano salvato dall'inferno, pagando per questo un prezzo terribile. Insieme avevamo ritrovato la salute. Avevamo ricostruito le nostre anime ferite diventando una famiglia, e l'amore che li univa era stato il centro di tutto. Io non avrei potuto mai, finché fossi vissuto, invidiare una sola briciola della loro felicità. Se l'erano meritata mille volte.
Però mi faceva male. Non avrei mai pensato che sarebbe successo, ma era così.
Ah, Elua! La gelosia è un cattivo padrone. Io avevo conosciuto l'amore e avevo conosciuto il desiderio, ma mai le due cose insieme; non in quel modo, il modo che esclude il resto del mondo. E c'era anche una tensione oscura. Che mi piacesse o no, io ero il figlio di mia madre; l'erede di Kushiel, benché un erede riluttante. Quella cosa era lì; sarebbe sempre stata lì. Phèdre era la Prescelta di Kushiel, nata per abbandonarsi, serva di Naamah e cortigiana senza eguali. Quella cosa era lì tra noi, e avrebbe continuato a esserci.
Mia madre ne aveva scritto:

Quando, mi chiedo, leggerai questa lettera? Non subito, credo. Ora sei troppo arrabbiato con me. Penso che aspetterai d'essere più maturo. Penso che aspetterai d'essere un uomo fatto.
Vorrei parlarti di Phèdre nó Delaunay.
Ti sarai chiesto: io l'ho amata? La risposta è no... e sì. Una cosa te la dirò per certa, figlio mio: l'ho conosciuta. Più di chiunque altro; meglio di chiunque altro.

Mi lasciai sfuggire un sospiro, chiedendomi cos'avesse pensato Phèdre di quelle parole. Tutto sommato, doveva esser stata d'accordo. Eppure, qualunque cosa fosse accaduta tra loro, era Joscelin che lei amava. E anche lui la conosceva. La guardai mentre si scostava da lui, sorridendo. Nella luce delle lampade che usciva della porta scorsi un lieve rossore sulle sue guance.
«Vieni in casa, tesoro?» mi disse. «Fa un gran freddo, qui fuori.»
«Vengo», risposi.
Com'era potuto accadere che due persone così diverse, così incompatibili, si fossero trovate e messe insieme? Quella sera a cena ci pensai, guardandoli, seduto a tavola. E mi dissi che ben difficilmente lo stesso sarebbe accaduto per me. Io avevo conosciuto la mia promessa sposa, Dorelei mab Breidaia, la nipote del cruarch. Era una dolce giovane donna dalla risata melodiosa, ma non riuscivo a immaginare di condividere con lei quella passione che consuma l'anima.
Feci un altro sospiro.
«Perché quell'aria così malinconica?» mi domandò Hugues. «Il nostro messer cassiliano ti ha dato una batosta?»
«No», dissi, poi notai lo sguardo divertito di Joscelin e mi corressi. «Be', sì.» Mi massaggiai la mano contusa. «Ma non è per questo. Credo... credo che domani andrò al tempio di Kushiel.»
«Cosa?» Joscelin mi guardò, incredulo. «Sei ammattito?»
Io non m'ero reso conto che avrei detto quelle parole finché non m'erano uscite di bocca. Le soppesai. «No», dissi lentamente. «Penso di aver bisogno di espiare.»
«Espiare cosa?» Lui continuò a fissarmi.
Pensai alla mia recente escursione nel campo dell'estorsione e del ricatto. Pensai ai soldati che avevo ucciso a Lucca, a Canis col petto trapassato dal giavellotto e a Gilot dopo la rivolta, calpestato e ferito. Pensai alle corna che avevo messo a Deccus Fulvius, e al folle fantasma di Gallus Tadius in piedi sul bordo del gorgo che alzava lo sguardo in cerca del mio, mentre lasciava cadere la sua maschera mortuaria. Pensai alla notte in cui Mavros mi aveva portato a Casa Valeriana, e al mattino dopo, quando avevo afferrato un polso di Phèdre e un impeto di desiderio mi aveva mozzato il fiato.
«Certe cose», dissi.
Joscelin scosse il capo. Phèdre appoggiò il mento su una mano e mi scrutò con uno sguardo intenso che non rivelava niente. Io lo sostenni con fermezza. «Sei sicuro?» mi domandò. «È come risvegliare i ricordi. Quelli brutti.»
«Tu ci vai», dissi. «Cosa ci trovi?»
Lei sorrise appena. «Oh, certe cose.»
Accennai di sì. «Sono sicuro.»
Non lo ero, non realmente; o almeno non ero sicuro di volerci andare l'indomani. Non avrei neppure saputo dire con certezza cosa mi avesse dato quell'impulso urgente. Dopo Daršanga, avrei detto che nulla mi avrebbe convinto a sottomettermi alla frusta di un uomo, o di una donna. Eppure quell'idea aveva trovato posto tra i miei pensieri.
 
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48 replies since 3/11/2009, 20:05   1803 views
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