Riposto il commento che avevo già lasciato a questa stessa recensione
Attenzione contiene SPOILER su "La Prescelta e l'Erede".
Mi trovo sostanzialmente d'accordo con quanto detto nella recensione. Nella mia precedente valutazione de Il Dardo e la Rosa avevo scritto che poteva rivelarsi una scelta azzardata quella della Carey di imbastire una trilogia (e più precisamente un sequel) su un libro che si sarebbe benissimo potuto concludere senza la fuga di Melisande e non perdere nulla del suo valore. Una scelta azzardata, ma la Carey con questo secondo volume vince la sua sfida.
La Prescelta e l'Erede riprende e ricalca degli eventi già visti (l'implicazione di Melisande in qualche piano per rovesciare il trono, la ricerca di informazioni tramite il "dono" di Phedre, l'incontro chiave con Melisande, la perdita della libertà, il viaggio tra un popolo barbaro, l'aiuto chiave di un'altra popolazione, il salvataggio in extremis di una situazione "drammatica"), eppure tutto è diverso. Il grande pregio che la Carey mette in mostra, imo, è proprio questo suo riuscire a "re-inventare" se stessa. Utilizzare gli stessi elementi, ma creare qualcosa di completamente originale.
A livello di trama, questo secondo romanzo è altamente avvincente. La partita a scacchi con Melisande è più pronunciata che nel primo libro. E quando finalmente avviene il fatidico incontro, il lettore non può che congratularsi con l'autrice per la sua genialità. E' ovvio che Melisande sia la nuova moglie di Benedicte, è ovvio fin dal primo libro che il suo scopo sia quello di arrivare al trono e non c'è modo più semplice e diretto che sposare il prozio della regina. Senza contare degli avvertimenti che Phedre stessa riceve al tempio. Ovvio, appunto. Eppure capace di sorprendere comunque il lettore.
L'evolversi degli eventi è sempre avvincente e mai sembra che la narrazione venga protratta più a lungo del necessario.
Un punto sicuramente di merito di questo libro è, poi, la crescita e la personalità di Phedre (e, seppure vista solo di riflesso di Joscelin). Se nel primo libro, nonostante le sofferenze affettive per la perdita di Delaunay e Hyacinthe siano presenti, è quella fisica che viene maggiormente sottolineata, ma allo stesso tempo quasi raccontata con distacco dalla protagonista, tanto da creare una sensazione quasi irreale nel lettore (una protagonista che narra, ma che non "partecipa" agli eventi), nel secondo il maggior peso dato alla sofferenza dell'anima, al tormentato e impossibile rapporto con Joscelin, riesce ad avvicinare maggiormente il lettore al dolore di Phedre. Forse è perché è più facile immedesimarsi nel dolore emotivo patito da Phedre e da Joscelin piuttosto che quello fisico, ma ho trovato la narrazione in questo secondo volume molto più "sentita".
L'epicità è diversa rispetto al primo libro. Non ci sono più (vere) guerre in campo aperto e la fuga (sia dalla prigione che sulla nave illirica) è ben diversa che quella dagli Skaldi, eppure il pathos non manca.
Se devo trovare dei difetti direi il troppo ripetere i fatti avvenuti nel primo libro (può essere utile rinvangarli per chi legge il seguito a mesi/anni di distanza dal primo volume, ma per me che l'avevo letto pochi giorni prima risultava parecchio noioso) e la forzata apertura verso la terza puntata. Così come per il Dardo e la Rosa, anche questo romanzo poteva essere un ottimo autoconclusivo, ma rimettendomi alle mani rivelatesi capaci della Carey spero che anche il terzo non deluda.